20.09.2017 – di Don ANTONIO INTERGUGLIELMI – Cappellano Rai – Saxa Rubra (Roma) –

Si può intendere la fede come fanno i lavoratori del Vangelo di questa domenica: con una mentalità economica, in fondo mondana. Stare nella Chiesa come se si svolgesse un lavoro, un dovere faticoso e che merita dunque la “giusta retribuzione”. Tanta fatica va ricompensata, chi ha più servito deve ricevere di più!
Ma il Signore non ragiona così! “Molti degli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”, conclude Gesù nel Vangelo, perché non si ricompensa solo la fatica, per ognuno c’è un tempo diverso di chiamata, con una stessa ricompensa: la paga di quello che è necessario per vivere, cioè per ricevere la Vita eterna.

Quello che conta è voler lavorare per Lui: e il Signore non esclude nessuno. C’è chi viene chiamato da bambino, chi già adulto e qualcuno anche in tarda età: ma per tutti la stessa ricompensa, quel denaro che rappresenta la vita vera.

Ecco perché col Signore non contano le raccomandazioni, le conoscenze e non è necessario scendere a compromessi con noi stessi per essere davanti agli altri, per ricevere di più e poter dominare gli altri; per Lui conta il cuore, il desiderio di lavorare nella Sua vigna, che hanno tutti i lavoratori che stanno aspettando la Sua chiamata.

Tante volte ci possiamo trovare con questo spirito di “pretesa” davanti al Signore, come se facessimo le cose di Dio per essere considerati meritevoli, migliori degli altri. E’ uno spirito di contesa che non fa parte della logica di Dio, perché tutto è Grazia, a cominciare dal dono della Fede.

La ricompensa è uguale per tutti e nessuno è meglio degli altri: la paga del padrone rappresenta infatti la gioia che abbiamo nel servire il Signore, gioia che va protetta dalla tentazione, mondana, dell’esser migliore di altri, perché ricordiamo sempre quello che disse un giorno Madre Teresa di Calcutta: “Nel momento in cui Dio ci giudicherà, lui non chiederà, “Quante cose buone hai fatto nella tua vita?”, piuttosto chiederà, “Quanto amore hai messo in quello che hai fatto?”

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