25.05.2018 di LUIGI SAITTA

Chi ci segue sa che scriviamo raramente di cinema. Quando questo accade è per segnalare un film da vedere. Questa volta  avviene il contrario: il film da evitare è “Dogman” di Matteo Garrone, presentato al recente festival di Cannes e premiato per la migliore interpretazione maschile di Marcello Fonte. Nell’avvilente conformismo che attanaglia la stampa italiana ( e di conseguenza anche la critica cinematografica ) il film di Garrone è stato giudicato in modo entusiastico, ai limiti del capolavoro. Conosciamo la filmografia di Garrone, un autore che ama l’insolito, l’abbrutimento, la violenza.  Ma non siamo d’accordo sui giudizi positivi riguardanti questo suo film. Nella vicenda di un tosatore di cani che uccide in modo davvero truculento un ex pugile che lo angariava ( evento  ispirato ad un fatto di cronaca nera romana del 1988)  Garrone disegna un quadro fosco, squallido, lurido  di una periferia subumana, priva di ideali e di speranza, dove la violenza spadroneggia. Un altro autore, Pasolini, aveva narrato sullo schermo le realtà degli  ultimi, con “Accattone ” ( 1961), ma in quel contesto la violenza ( oltretutto sublimata dalle musiche di Bach ) non era gratuita, fine a se stessa. Qui appare come una sorta di compiacimento, di catarsi,di nemesi ineludibile: con le scene dell’assassinio davvero ai limiti ( non a caso il film è vietato ai minori ). Un film, quello di Garrone, che vorrebbe (forse) fotografare  il degrado delle nostre periferie urbane, della nostra epoca, sbagliando però tempi e modi. Un’ultima notazione: “Dogman” è un film  distribuito dalla RAI.  In che rete e a quali orari i responsabili di Viale Mazzini pensano di mandare in onda questo film?

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