01.03.2017 – di LUIGI SAITTA –

Il tema è dolorosamente tremendo,angosciante per chi  ( paziente, familiari, amici )  è coinvolto. Ci riferiamo al cosiddetto “suicidio assistito”, che ha  visto  Dj Fabo, 40 anni,  tetraplegico, scegliere di morire, in una clinica svizzera, per “fuggire  da un inferno di dolore”. I media, impietosamente ( ma questa, ormai, è una riprovevole prassi ) si sono gettati sull’evento con voracità, descrivendo il calvario  di quest’uomo ancora giovane, la mancanza di una normativa di legge che regoli queste situazioni, le riflessioni di vari esperti o pseudo tali, le critiche di un mondo laico che ha in assoluto spregio il valore della vita umana. Che vogliamo dire con questo? Che bisogna continuare a soffrire, anche in casi estremi come quello di Fabo? L’argomento è oltremodo delicato, considerando che  in Italia ( al contrario, ad esempio, di Olanda, Belgio,  Svizzera e Germania, per rimanere in Europa ) è vietata ogni forma  di eutanasia e di assistenza al suicidio.Al di là dei convincimenti morali e religiosi che ciascuno di noi ha su questo tema, è da auspicare un provvedimento legislativo che faccia chiarezza sull’argomento. Il resto è silenzio, un silenzio che  deve rispettare la coscienza di chi soffre.

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