13.07.2025 – DON ANTONIO INTERGUGLIELMI
Gesù nel brano del buon Samaritano di questa domenica usa una parola che descrive il Suo atteggiamento verso di noi: compassione. Avere “compassione”, ossia patire insieme, vuol dire non essere indifferenti alle sofferenze e ai problemi del nostro prossimo. Non essere come il ricco Epulone nel brano del Vangelo di Luca (16, 19ss).
Questa indifferenza può riguardare noi, anche se frequentiamo la Chiesa, perché è possibile confondere il nostro cammino di fede come un perfezionismo, diventare “bravi e buoni”, ma poi indifferenti ai dolori e alle sofferenze degli altri, in qualche modo preoccupati soltanto di salvare noi stessi.
Questo è quello che fanno il sacerdote e il levita, il primo impegnato solo ad osservare la legge – se l’avesse toccato sarebbe diventato impuro – l’altro concentrato a compiere i suoi progetti, che non gli permettono di perdere tempo nel soccorrere un fratello che ha bisogno.
Ecco invece che il buon samaritano è l’immagine di Cristo, che non è schiavo della legge, ma è spinto dall’Amore, dalla compassione.
Così, il samaritano versa olio e vino su quest’uomo ferito, simbolo dei sacramenti che ci risollevano, lo conduce all’albergo, cioè alla Chiesa, la comunità cristiana, dove potrà essere curato. Lui stesso paga il dovuto, perché la nostra Salvezza l’ha guadagnata Cristo salendo sulla Croce.
Questa domenica possiamo allora chiederci: «Chi è oggi il mio prossimo, caduto nelle mani dei briganti?».