14.09.2018 – di Don ANTONIO INTERGUGLIELMI – Cappellano Rai – Saxa Rubra (Roma) –
Pietro ama sinceramente Gesù, lo vuole seguire e sa che lo condurrà alla salvezza.
Ma continua a ragionare secondo le sue vie e non quelle di Gesù; ha ben chiaro il modo in cui il Signore lo dovrà salvare, è disposto a fare qualsiasi cosa perché Gesù sia accolto e riconosciuto. Perché gli vuole bene. Ma l’affetto umano non basta per la Salvezza, anzi, come dimostra Pietro, facilmente può diventare un impedimento a compiere la Volontà di Dio.
Ecco che Gesù lo tratta molto duramente in questo ottavo capitolo del Vangelo di Marco, fino a chiamarlo Satana. Lo deve fare perché sa che Pietro gli vuole bene ma ha ancora per lui un affetto “umano”, una stima che si fonda sui suoi sentimenti e su ragionamenti limitati perché umani: perché il mio Maestro dovrà soffrire? Perché Lui, senza peccato, giusto tra gli ingiusti, deve essere rifiutato, schernito, umiliato?
Sono le domande eterne, che ancora oggi interrogano anche noi nel cammino di fede: “Perché i malvagi prosperano e i buoni sono provati?”, si interroga anche il Salmista, che continua “… portavo invidia ai vanagloriosi, vedendo la prosperità dei malvagi” (Salmo 73).
C’è un disegno di Salvezza che appartiene a Dio, che passa attraverso strade inaspettate, non calcolate sui nostri piani: questo avviene non solo nella vita di Gesù ma anche nella nostra. Per questo se le nostre sofferenze, le ingiustizie che subiamo, i tradimenti, sono vissuti alla luce dell’Amore di Cristo divengono tesori, caparra di vita eterna, perché ci fanno simili a Lui. E tante volte il Signore ci preserva da strade di perdizione e di follia, attraverso fatti apparentemente negativi.
Perché il padre corregge i suoi figli, mentre abbandona gli empi per le loro strade di “vanagloria”: “Il Signore veglia sul cammino dei giusti” (Salmo 1).
Il giusto, nella Scrittura, non è il perfetto, ma è l’uomo che cerca la Volontà di Dio.